Prodigiosa papaya

papaya

Nel mio orto grande di Mandabe avevo messo molte papaye. Bisognava piantarne tante perché, a differenza della gente del posto, io non sapevo quali avrebbero dato frutti e quali no (sono infatti le infiorescenze che ci fanno sapere se la pianta è “femmina” o “maschio” – e in questo caso non darà frutti – ma quando la pianta è ormai già grande).

A me interessava averne i frutti. Solo dopo, poco alla volta, parlando con la gente, sono venuto a sapere degli usi molteplici che la gente ne faceva.

Qui a Betanatanana ovviamente, per mancanza di terreno, non potrò piantarne altrettanti… ma in seguito troveremo una soluzione.

 

Usi medicinali di questa pianta

  • Quando il dolore ai denti diventa insostenibile e il dente è cariato, si punge il frutto ancora molto verde, e se ne raccoglie il lattice. Un batuffolo di cotone viene impregnato ben bene di questo lattice e poi calato con molta precauzione dentro il dente cariato e ricoperto a sua volta con un po di cotone secco. Il lattice spegne il nervo dolorante  e comincia pian piano la demolizione del dente che poco alla volta si disintegra. Ovviamente rimane poi da estrarre l’ultimo pezzo della radice.[1]
  • Quando si mangia il frutto di solito le decine e decine di piccoli grani si buttano via, mentre la gente del posto se è ammalata ne mangia una cucchiaiata per arrestare la diarrea. Sono anche  utili per contrastare la presenza dei vermi, nei bambini soprattutto.[2]
  • Quando gli accessi febbrili dovuti, ad esempio, alla malaria diventano molto forti e i dolori alle ossa insopportabili, alcuni prendono le foglie della pianta e le stendono per bene sulla stuoia dove giace il malato. Mi assicurano che il paziente ne ha grande giovamento.[3]
  • Infine un utilizzo “culinario”. Si sa che gli zebù da queste parti fanno molti chilometri, prima di finire in pentola! E quindi la carne spesso è coriacea. Le brave massaie di qui, arrivate a casa, avvolgono la carne nelle foglie di papaya. Dopo un’ora circa la carne si infrollisce e si passa alla cottura.[4]

 

             Insomma la papaya è davvero prodiga e prodigiosa!

 don Riccardo

 

Qualche notizia in più

La papaya (nome latino Carica Papaya, famiglia Cacaricaceae) è un piccolo albero, simile alla palma, di altezza variabile dai 3 ai 10 metri, originario dell’America centrale e diffuso in molte regioni tropicali e subtropicali. Il frutto è la papaya, grossa bacca arrotondata od ovoidale di peso variabile dai 3 etti ai 10 chili, che, matura, è di colore verde-giallastro, con polpa arancione ricca di piccoli semi neri ricoperti da mucillagine.

Il nome papaya deriva da pawpaw, termine usato dalle popolazioni dell’Australia e della Nuova Zelanda per indicare i suoi frutti, simili nell’aspetto e in parte nel sapore a grossi meloni.

La papaya contiene un enzima, la papaina, sostanza utile per migliorare la digestione, come ben sapevano le popolazioni indigene del Centroamerica. Si ricava dal lattice essiccato, previa incisione dei frutti immaturi (un frutto di medie dimensioni fornisce circa 100 grammi di lattice), dalle foglie e dai semi.

E’ poi ricchissima di vitamina C e già ai tempi di Marco Polo era nota la sua capacità di guarire i marinai affetti dallo scorbuto, malattia contratta a causa della mancata assunzione di cibi freschi.

La papaya fornisce inoltre altre vitamine, come la A e la E, e minerali, come potassio, magnesio e calcio. E’, inoltre, un’ottima fonte di antiossidanti come selenio, carotenoidi (principalmente licopene) e flavonoidi. Tutte queste sostanze proteggono le cellule dai radicali liberi, responsabili dell’invecchiamento cellulare, causa di gravi malattie degenerative. I flavonoidi, regolando la permeabilità dei vasi sanguigni, sono un valido aiuto per la circolazione.

La papaya può essere consumata cruda, cotta, come ingrediente base per preparare conserve e marmellate o per ottenere, tramite fermentazione, una specie di acquavite.

 

papainaMa cosa è la papaina e cosa è un enzima?

Un enzima è un catalizzatore dei processi biologici, ovvero un acceleratore di una reazione chimica legata ad un processo biologico. Spesso gli enzimi sono proteine, ovvero grandi e complesse molecole formate principalmente da catene a base di carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno e un po’ di zolfo (catene polipeptidiche). Le proteine sono così complicate che nessun chimico saprebbe sintetizzarne una!  Questa  è la papaina, un enzima della famiglia delle proteasi ed i nastrini che vedete sono le sue catene polipeptidiche.


 

papacarie[1] Nel 2003 è stato sviluppato  in Brasile il PAPACARIE: un gel per la rimozione chemiomeccanica delle carie. L’ingrediente principale è proprio la papaina, che, grazie alla sua attività proteolitica, dissolve il tessuto cariato ed agisce allo stesso tempo come antibatterico. Il tessuto sano non viene intaccato dal gel ed è invece  lasciato intatto. Il Papacarie permette di curare le carie senza trapano e senza anestesia.  

carpaina[2] Anche l’azione antidiarroica e l’attività antielmintica sono dovute in gran parte alla papaina: l’effetto antibatterico contrasta la diarrea, inoltre l’enzima dissolve la cuticola esterna del verme che così muore. Gli studi scientifici di questo ultimo fenomeno risalgono addirittura al 1940 (Berger et al. Am. Ass. Adv. Sc. 1940, Vol. 91, p. 387). Per di più, foglie e semi della papaia contengono anche un alcaloide, una molecola bellissima che è fatta così: e che si chiama CARPAINA. Gli alcaloidi sono sostanze dall’azione farmacologica molto potente, spesso tossiche in elevata concentrazione. Una cucchiaiata di semi è tossica per i vermi, ma non per l’uomo!

[3] Questo uso parrebbe legato piuttosto all’attività analgesica dell’impacco di foglie di papaya che non a quella antimalarica, che pure è oggetto di studio, ma la cui efficacia resta tuttora da dimostrare. 

[4] Di nuovo la papaina in azione! L’azione proteolitica rompe i legami peptidici delle proteine della carne e la ammorbidisce (è una pre-digestione).