Don Riccardo – 01/12/2013

S. Natale 2013

Carissimi tutti,
Mi pare che il tempo corra troppo. E inesorabilmente ogni sera mi dico: «Ma la giornata è già finita?».
Le notizie di qui in parte le sapete … o le saprete. E’ per me il tempo di vivere gli eventi quotidiani nella loro semplice routine … sempre però attento a stupirmi per le cose “inedite”.

Il giorno 2 novembre siamo andati in processione a uno dei cimiteri di questo paese. Mi ci è voluto un po’ di tempo per vincere le perplessità dei miei cristiani. Villaggio e cimitero sono due poli distinti, lontani e contrari, che non è bene mescolare. Tanto più che la maggioranza dei sepolti non sono cristiani. 
Loro infatti non tornano al cimitero se non per le sepolture.
Tuttavia alcune etnie, come gli Antaisaka (che vengono dal sud-est del Madagascar) e i Betsileo (che vengono dal centro-sud) tornano al cimitero per la grande cerimonia della “riesumazione”, per riprendere i resti mortali dei loro congiunti e portarli nella tomba definitiva, il “kibory-be”: la tomba di famiglia (“da vivi nella stessa casa e da morti nella stessa tomba” dice un adagio noto a tutti), la dimora definitiva che assicura una sopravvivenza tranquilla.
La nostra processione, debitamente spiegata, voleva ricordare le verità di fede “sul dopo la vita”. Non è la tomba la nostra dimora definitiva, ma “le braccia e il cuore di Dio” che ci aspetta, che ci è papà ed ha preparato per noi cose che la mente non sa immaginare e l’occhio non sa vedere. Insomma la speranza cristiana.

Il nostro vescovo è venuto a farci visita e non ha nascosto il suo stupore e la sua soddisfazione per tutto quello che è stato fatto qui a Betanatanana.

La missione ha preso il respiro di una casa dove è bello andarci, sedersi sotto il maestoso tamarindo, parlare con altre persone in un clima da cortile di casa. Ovviamente per me il tempo di “stare a casa” è poco. In questo periodo non risiedo ancora stabilmente a Betanatanana, quindi ogni mattina, dopo la messa qui a Maintirano, prendo uno di quegli scassatissimi e sovraccarichi taxi-brousse alla volta di Betanatanana: devo assicurarmi che i materiali di costruzione non manchino mai, che gli operai siano presenti e che i lavori procedano secondo i programmi. E poi accertarmi che alla missione gli insegnanti e i bambini inizino regolarmente le lezioni ed intervenire per eventuali necessità. Una domenica al mese celebro la messa a Betanatanana. Le altre domeniche vado per i villaggi a celebrare la messa e ad incontrare la gente. 
Mi muovo a piedi, perché tante cose si capiscono e si vedono solo “a passo d’uomo”. A contatto con questa natura, una volta lussureggiante, ma ora spelata, bruciacchiata e coltivata a lembi, la degradazione la si nota ancor più in questo periodo, quando alte colonne di fumo dicono che si brucia per preparare le terre da coltivare. Peraltro forse solo un decimo di ciò che si brucia sarà coltivato.
Betanatanana vive di economia di sussistenza. Il lungo canale che portava l’acqua è fuori uso da parecchi anni e le risaie si restringono sempre di più; sono coltivate solo con l’acqua piovana, mentre la terra qui, se ci fosse acqua, sarebbe straordinariamente fertile. Pare che ci sia un progetto per la risistemazione di questo canale. L’economia di qui potrebbe uscire così dal letargo.

Sapete anche che il Madagascar è in pieno periodo elettorale. Come in altri paesi africani, dopo il colpo di stato di quattro anni fa, ed una “transizione” interminabile, finalmente si va alle urne. Ma non è detto che il paese andrà verso una stabilità politica. Il Madagascar è indipendente ormai dal 1960, ma nessun governo è riuscito ad arrivare alla fine del proprio mandato. Segno evidente che la politica non ha saputo “sposare” le attese e i problemi della gente, che dopo un po’ ha perso la pazienza e, ogni volta, ha rimandato i politici a casa. Stasi politica vuol dire anche progressione della miseria.

A Betanatanana intanto qualche giorno fa è comparsa una strana malattia che colpisce “alla cieca” i ragazzi delle scuole. Provoca delle crisi convulsive che durano una mezz’ora a volte anche di più. Oltre alle convulsioni, le grida e la perdita di coscienza. Sono colpite di solito le bambine/ragazze. La chiamano “ambalavèlona”. Per quanto abbia cercato di trovare una spiegazione per documentarmi seriamente, le risposte conducono sempre ed infallibilmente a due cause: ody gasy (stregoneria/incantesimo) oppure asan’ny devoly (opera del diavolo).
Se chi ve ne parla è un cultore della religione tradizionale, avrà allora la tendenza a descrivere la malattia come l’opera di una stregone malefico che vuole fare del male servendosi di piante erbe, radici velenose. Se chi vi parla è un cristiano protestante, vedrà senza la minima esitazione in tale sintomatologia strana e non classificabile l’opera del demonio, per cui bisognerà ricorrere al più presto agli esorcismi).
Magari questo farà sorridere, considerando questi sintomi spiegabili come “malattie da terzo mondo”. Le spiegazioni mediche finora date non convincono: isteria collettiva, spasmofilia, ecc. Lo scorso anno la scuola qui è rimasta chiusa per due mesi, perché questa malattia aveva assunto proporzioni preoccupanti. A Morondava due anni fa, per la stessa causa, una scuola media della città, frequentata da oltre mille alunni, rimase chiusa per oltre tre mesi.

Siamo oramai alle porte del Natale. Qui niente letteratura o canti della nascita di Gesù al freddo e al gelo: siamo in pienissima estate, con un gran caldo e l’imminente stagione delle piogge. Ma la gioia dei bambini è sempre straripante. Sarà il mio primo Natale qui e sarà bellissimo. E da qui insieme a questo mio nuovo popolo dico a tutti voi un grazie immenso e l’augurio che anche il vostro sia un Natale semplice, ma ricco di gioia.

 

Vi abbraccio tutti

 

don Riccardo