Voay – Mamba

Bíby tsy mihoàtra ny màmba: non c’è belva più terribile del coccodrillo, avverte il proverbio. Si fa cosi allusione al solo animale davvero pericoloso esistente il Madagascar.

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In malgascio coccodrillo si traduce con due parole: voay e mamba.

Bevoày, Bemàmba, Marovoày: sono nomi di villaggi che mettono in guardia, lì ci sono molti coccodrilli. Andilamboày: posto di passaggio di coccodrilli, Sihanaboày: stagno o lago di coccodrilli, Mamba è il nome di un corso d’acqua (appena fuori Tananarive), che significa, appunto, “pienissimo di coccodrilli”.

Fafamboày: villaggio da cui sono stati eliminati i coccodrilli; allude, probabilmente, ad un evento abbastanza comune. Di fronte all’ennesima persona divorata dai coccodrilli la popolazione esasperata ha giurato la guerra fino all’ultimo, e così il villaggio ed i dintorni sono stati ripuliti sistematicamente dalla loro presenza. Ma posso dirvi che si tratta di casi isolati.

Spigoliamo qualche proverbio.

 “I Betsimisaraka uccidono i coccodrilli e gli Antanosy invece si fanno belli, esibendone i denti in guisa di collane”: insulto sferzante dei Betsimisaraka ai loro confinanti Antanosy, accusati di codardia e di ignavia.

Se un coccodrillo si apposta al guado, quando ci passi se non ci lasci la vita avrai comunque un segno indelebile”. Diverse volte avrei dovuto fare dei “cattivi incontri” con loro. Diverse volte ho traversato di notte corsi d’acqua che erano frequentati da questi rettili, ma la solita “mano dall’alto” mi ha protetto!

 “Perfino lo zebù è caduto nelle grinfie del coccodrillo” allusione al fatto che anche chi è grande e grosso non è tuttavia esente da pericoli, spesso i coccodrilli afferrano “senza complessi” anche dei grossi zebù.

 “Il saluto: “Salve signor coccodrillo “ non è frutto di affetto, ma di paura”. Il proverbio fa allusione alla gente comune che sapendo di dover traversare un corso d’acqua pericoloso si ferma prima sulla riva per “salutare il padrone di casa” e chiederne la compassione.

Se si passa il guado in tanti non saremo la preda dei coccodrilli”. Evidente allusione al fatto che se si passa il fiume in tanti, anche se attaccati ci si difende con successo.

 

Cocco4“Andio Mahatsèrike” (letteralmente stagno che non cessa di stupire!) è il nome di uno stagno vicino ad Ankilimanjaka (uno dei villaggi di Mandabe, la missione dove avevo lavorato qualche anno fa). Non avevo compreso subito questo nome stranissimo: I Bara credono che i loro Mpimàsy (guaritori tradizionali e fabbricanti di amuleti) abbiano questa straordinaria capacità di fare degli amuleti che chiudono le fauci dei coccodrilli; questo amuleto che chiamano Fanidy.

Una delle tante smentite l’ho avuta una volta quando una domenica mattina portarono al dispensario una mamma giovanissima che era stata aggredita da un coccodrillo e salvata per miracolo proprio nel famoso stagno.

Avevano viaggiato in carretta tutta la notte. La gamba e la coscia, lacerate dei denti della bestia, erano una piaga unica che oramai era molto nera, necrotizzata, segno che l’infezione era già ad uno stadio molto avanzato. Ci vollero due mesi buoni di medicazioni quotidiane e la pazienza della suorina malgascia per guarirla. Insomma, neppure questa volta il Fanidy aveva protetto la povera donna.

Un altro proverbio, del resto, lo afferma in modo perentorio: “Nessun incantesimo resiste ad un coccodrillo affamato“.
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La quantità dei coccodrilli che sbranavano o ferivano la gente diventava un problema nazionale. Occorreva cercare qualche rimedio.

Tra i modi per difendersi ricordiamone qualcuno.

I francesi nel 1915 per ridurre il numero delle vittime di queste bestie lanciarono una campagna di raccolta: 15 centesimi per ogni uovo raccolto, 50 centesimi per chi uccideva un coccodrillo di uno-due anni, 5 franchi per chi catturava un animale di oltre due metri. Un malgascio di Marovoay in tre settimana raccolse la bellezza di 7000 uova. Le cronache ci dicono che si dovette sospendere in fretta la campagna perché troppo onerosa.

Si mutò allora strategia: i coloni francesi – e solo loro – potevano darsi al commercio lucroso delle pelli di coccodrillo spedite in metropoli e cosi la battaglia continuò. Nelle buone annate si spedivano in Francia oltre 40 tonnellate di pelli.

Il lago Itasy (secondo per grandezza nel Madagascar) è notoriamente infestato dai coccodrilli. Fino a qualche tempo fa la gente delle rive regolava i contenziosi per via diremmo “legale“ stando il fatto che il villaggio da una parte e i coccodrilli dall’altra figuravano come parti in causa che dovevano rispettare la legge della coesistenza pacifica.

La gente, per principio, non uccideva i coccodrilli, ma esigeva in contropartita che le bestie facessero lo stesso. Per cui se qualcuno veniva aggredito ed ucciso dalle bestie il villaggio si riuniva. Tutti si recavano sulla riva del lago e un portavoce notificava in buona e dovuta forma la violazione avvenuta. Dopodiché la gente si metteva a caccia di una qualche bestia, che veniva catturata con un amo molto grosso, trascinata a riva ed infilzata con dei pioli passati al fuoco. La giustizia era cosi ristabilita.
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Del coccodrillo si utilizzano diverse parti: la pelle per gli oggetti di borsetteria (cinture, borse e borsette, scarpe ecc.), il grasso per farne olio (materiale pregiato). La carne viene mangiata e mi è capitato diverse volte di gustarne. Debbo dire che è buona, soprattutto se chi la cucina riesce a toglierle il gusto un po’ selvatico. Ma sono i denti che certe tribù utilizzano per uno scopo sacro: per confezionare reliquie.

Belo-sur-Tsiribihina, cittadina sulla costa ovest del Madagascar, è notoriamente la capitale dei Sakalava–Menabe.  Di solito ogni 5 anni si procede ad una grandiosa cerimonia: il FITAMPOA.

In quell’occasione vengono portate al fiume Tsiribihina, e quivi immerse, le reliquie dei re Sakalava contenute in appositi astucci di cuoio ben ornati, ma le reliquie sono, per così dire, incastonate dentro denti di coccodrillo molto grandi.

La confezione delle reliquie obbedisce ad un cerimoniale molto preciso.

Dopo aver individuato un coccodrillo molto grande e, quindi, “anziano”, lo si cattura e lo si porta a riva, legato e immobilizzato, trattandolo con molto rispetto. Nel contempo si prepara un gran fuoco, nella cui cenere bollente si immergono delle patate selvatiche. Queste vengono prese molto abilmente e placcate sui denti più grossi della bestia per facilitarne l’estrazione. Finita l’estrazione, vengono applicate sulle zampe della bestia degli anelli d’argento per ricordare a tutti che si tratta di una bestia sacra e quindi l’interdizione assoluta di ucciderla. Dopo di che il coccodrillo viene riaccompagnato nel fiume e liberato. I denti vengono scavati nella parte interna per inserirvi le reliquie: parti di unghie, di capelli, di ossa ecc. Sono, quindi, oggetti sacri che attestano il “permanere “dei re Sakalava in mezzo al loro popolo. Senza di esse il popolo Sakalava si sente abbandonato dai suoi protettori e quindi alla mercé dei nemici. Fu così che i francesi, al momento dell’occupazione militare nel 1898, misero le mani sulle reliquie (jiny) e poterono, quindi, domare più facilmente la resistenza di quel popolo.

Non mi fermo a parlare di qualche tribù che venera il coccodrillo considerandolo il capostipite del proprio clan.

Come tutti gli animali anche il coccodrillo ha una sua valenza simbolica che non ne fa “un animale da compagnia”. Grosso, violento, astuto e vile: è il sinonimo di persone prepotenti, rapaci, senza cuore, senza pietà soprattutto verso chi è debole e non può difendersi. Diciamo senza giri di parole che, soprattutto una volta, erano gli esattori delle imposte – gente senza scrupoli e avida, capace di spogliarti dei tuoi beni, di strapparti moglie e figli per venderli come schiavi e di farti gettare in prigione per pagare debiti o tasse – che erano paragonati ai coccodrilli.

Sappiamo tutti cos’è l’ordalia: un processo con una grave stranezza. Quando non si riesce ad appurare la verità si introduce un elemento che smaschera il colpevole, manifesta la verità e che “teoricamente” protegge l’innocente. La prova del fuoco, del veleno, delle bestie feroci, dell’acqua bollente, ecc. Insomma la “prova di Dio” che certamente interviene per far conoscere la verità.

Anche in Madagascar esisteva – ed in certi posti esiste tuttora – il ricorso all’ordalia. Un esploratore, Leguevel de Lacombe, riferisce di esser stato testimone di un’ordalia singolare: in un villaggio della costa est una donna accusata di adulterio fu costretta a traversare un corso d’acqua frequentato da coccodrilli. Ebbene, l’accusata attraversò il corso d’acqua senza esser attaccata dalle bestie. Fu cosi “provata pubblicamente” la sua innocenza, mentre il suo accusatore fu obbligato a versarle una sanzione salatissima corrispondente a svariate decine di zebù.

Nelle leggende e nelle favole di questo popolo non c’è un racconto, o un proverbio – ma neppure uno – che smentisca, almeno una volta, questa cattiva fama. Eppure il coccodrillo, personaggio “destinato a vincere sempre”, conosce cocenti sconfitte.

Cocco6Un altro esploratore, Perrier de la Bathie, racconta un espediente “intelligente” praticato dai cani malgasci, ma ho appurato che i loro colleghi egiziani fanno la stessa cosa: quando debbono attraversare un corso d’acqua infestato dai coccodrilli, si avvicinano alla riva ed abbaiano a lungo, il tempo di far venire i loro temibili avversari sul posto, dopodiché si lanciano di corsa a 200-300 metri di distanza e attraversano in tutta sicurezza il fiume.

Su questo antagonismo atavico è nata questa storiella.

Zañahary (nome col quale i malgasci chiamano il Creatore) ha avuto una giornata convulsa durante la quale ha creato tutti gli animali. Ha dato due zampe, due ali e un becco agli uccelli, ha dato quattro zampe ed un manto a leoni, zebù, cinghiali, lemuri ed ai gatti e ai topi. Cosicché, quando si presentarono i serpenti, il magazzino delle zampe era oramai vuoto.

“Pazienza – disse loro – striscerete sul suolo e vedrete che sarete lesti come i vostri compagni”.

Pensava di aver finito, ma ecco che il cane e il coccodrillo si fanno avanti, accompagnati dallo zebù. 

“E voi cos’altro volete?” – domandò – “Adesso potete correre, mangiare, sentire, guardare, non vi basta?”

I due restano muti e Zañahary comincia a perdere la pazienza, quando lo zebù prende la parola: “Generoso Signore, i miei compagni non vi rispondono perché… non possono parlare. Non gli avete dato la lingua!”.

“Scusatemi, sono proprio distratto!” – esclama Zañahary – “Aspettate un momento, vado subito a cercare”.

Va nel magazzino rovista tutto: scaffali, ceste, scatole, ma non trova che una sola lingua. Cosa fare? Tagliarla in due?

Dopo aver riflettuto un buon momento ritorna verso i due con una proposta: ”Sono davvero spiacente, non ho che una sola lingua per voi due. Dunque vado laggiù, in fondo al sentiero. Chi di voi due arriva per primo avrà la lingua”.

Non c’è scelta, bisogna accettare; ed ecco i due sulla linea pronti allo scatto: “Pronti? Uno, due e tre – via!”.

La scia di polvere non nasconde, tuttavia, il cane, che brucia l’avversario e ottiene la lingua.

“Kai, kai, kai. Ho vinto. Grazie Zañahary!”

Il povero coccodrillo restò cosi muto e senza lingua.

E da allora il cane abbaia e si fa beffe del coccodrillo, mentre costui cerca sempre il modo per metterselo in bocca!