Don Riccardo – 03/05/2016
Cari amici,
il soggiorno fra di voi è ormai un ricordo lontano, non tanto per il tempo trascorso, ma per le tante cose che vivo. Voglio però dire ancora un grazie di cuore a tutti voi che ho potuto incontrare e a voi che mi avete facilitato in tanti modi gli esami e le cure mediche. Un grazie di cuore a voi che, invitandomi nelle vostre case, mi avete dato anche la gioia di pregare, ascoltare la parola di Dio e riflettere sulle opportunità e sulle difficoltà di farla conoscere a chi ci sta intorno, a cominciare dai figli e dai propri cari.
Il mio ritorno qui in Madagascar è coinciso con la morte di un carissimo amico: Padre Jan. Un prete orionino polacco, arrivato qui un paio d’anni prima di me e con cui ho passato più di una trentina d’anni. Ultimamente la sua salute aveva avuto dei cedimenti e le notizie che comuni amici mi davano di lui erano preoccupanti. Speravo di rivederlo ancora una volta, non fosse altro che per abbracciarlo e dirgli che gli ero accanto. Rientrato in Madagascar di notte, al pomeriggio seguente mi sono avviato verso la clinica. Arrivato alla porta della sua stanza, ne usciva P. Luciano che al cellulare diceva: “Padre Jan è morto proprio ora!”. Non mi sono trattenuto dal dirgli: ”Mi hai fatto un brutto scherzo, mi hai fatto arrivare fin qui e poi, come se una voce ti avesse detto “Adesso è ora, andiamo” non hai atteso neppure un istante di più!”. Il suo desiderio di morire in Madagascar, nonostante la contrarietà di qualche confratello italiano, era stato esaudito. Lui sarà il primo orionino ad essere sepolto qui in questo Madagascar, in questa terra che era ormai la sua patria. Segno ben visibile del radicamento della congregazione orionina in questa terra. Me lo ripeteva spesso, poiché ogni volta che andavo a Tananarive passavo sempre a visitarlo e a salutarlo. ”Sai – mi diceva – mi vogliono mandare in Italia ma io, invece, voglio restare qui!”.
Nei lunghi momenti accanto alla salma e soprattutto nella notte della veglia funebre, mi sono chiesto cosa ci aveva “cementato” in maniera così forte. Credo proprio sia stato il fatto di aver sognato insieme grandi cose. Appena arrivato ad Anatihazo, la missione era poca cosa ma poi, pian piano, è cresciuta. Lui non si perdeva in speculazioni, aveva due mani d’oro ed un’esperienza di prim’ordine. Normale che fra di noi ci fossero anche punti di vista diversi o a volte contrastanti, ma mai finiti in incomprensioni o, peggio, in rivalità. Era consapevole di avere grosse difficoltà a “masticare” il malgascio e ancor più il francese e detestava girare per uffici e ministeri.
Di certo il giorno del funerale, le oltre 2000 persone presenti erano coscienti che quel pretino silenzioso, discreto, schivo, era stato per 35 anni una grande presenza in quegli ambienti, in quei cortili. E tutti erano venuti per sussurrargli una piccola parola: ”Grazie”.
Erano certamente diverse centinaia i ragazzi che avevano frequentato il centro professionale e che stipavano la chiesa, ma c’era anche la gente di Anatihazo che in lui trovava il confessore paziente e sempre disponibile.
I giovani preti orionini che lo portavano a spalle, un gesto semplice ma pieno di affetto, volevano anche dirgli che lui era stato davvero quell’icona di don Orione che loro sognavano di vedere: pieno di amore alla Vergine, attaccato alla congregazione, fedele alla preghiera, rispettoso degli altri, dedito al lavoro, anche quello manuale, semplice nel tratto, ma profondo nei sentimenti.
Le suore orionine malgasce, una sessantina, anche se non tutte presenti, di certo avevano tanti motivi per dirgli grazie. Oltre al fatto di aver costruito il grande centro di Itaosy, era andato per anni da loro a celebrare la messa al mattino, ad ascoltare e offrire direzione spirituale; insomma come, anzi, ben più che un fratello. E di certo questa sua generosità ha contribuito molto alla loro straordinaria crescita.
Quando abbiamo cominciato insieme questa storia ci sembrava di vedere “troppo in grande”. Adesso però ci accorgiamo di aver visto “troppo in piccolo”, di non aver avuto sogni più grandi per lo sviluppo della congregazione.
Prima di partire dal suo capezzale, ho sfilato la sua corona dicendogli che anche a Betanatanana, lontano centinaia di chilometri, con il rosario avremmo continuato a farci buona compagnia.
“Ci ha voluti tutti insieme!” ha esclamato un prete al suo funerale. Era il suo sogno che tutti i confratelli fossero uniti e che eventuali impedimenti fossero rimossi. Ne aveva parlato con i superiori, ma non fu ascoltato.
Caro Jan, grazie per essere rimasto qui in Madagascar. Avrai modo così di ricordarci tutti al Signore ogni giorno, anche questo tuo amico con cui hai voluto condividere i tuoi sogni più belli.
LA VITA A BETANATANANA RIPRENDE…
Tornato alla Missione, ho constatato quanto vi dicevo e cioè che i collaboratori hanno dato ancora una volta la misura della loro fedeltà e della loro generosità. Tutto funzionava, anche se le piogge “ritardatarie” di quest’anno ci avevano obbligato a rallentare su qualche programma.
I ragazzi delle cinque scuole di brousse frequentano assiduamente, nonostante i gravi problemi di insicurezza. Quest’anno sono circa 350 i ragazzi delle scuole di brousse. Speriamo di poter continuare, anzi di potenziare questo indispensabile aiuto per la loro crescita e per la loro educazione.
QUELLI DELL’ULTIMA ORA…
Passando per Betanatanana, ho visto ancora tanti bambini scorrazzare per i cortili e così abbiamo deciso di dare loro una chance: venire a scuola, anche se i “tempi supplementari” (l’anno scolastico volge oramai al termine) sono largamente scaduti. Non è certo “pedagogicamente corretto” immaginare scorciatoie scolastiche, ma pensiamo che sarebbe un’ingiustizia privarli di questa opportunità. Ne abbiamo riuniti una cinquantina che adesso frequentano mattino e pomeriggio e si preparano per il prossimo anno per essere inseriti nelle classi di competenza.
Alla missione nel centro del villaggio, la presenza di quasi 200 bambini piccoli (quelli della materna, della prima elementare e poi questi “ritardatari”) ci fa sentire sempre in festa. Qui loro passano le giornate, fraternizzano e vivono serenamente la loro infanzia. Come sapete quelli più grandi (dalla seconda elementare fino alle medie) frequentano la nuova scuola della Missione, che si trova alle porte del villaggio, a circa 700 metri dalla Missione in centro al villaggio, dove c’è la chiesa.
Già vi ho detto che questa regione è un buon corridoio per i cicloni. Quest’anno tuttavia abbiamo passato indenni la stagione delle piogge e ci è stato quindi risparmiato questo incubo. Riprendere la vita normale per noi significa anche rimuovere oltre 400 sacchetti di sabbia messi sui tetti per contrastare la forza del vento. Ovviamente se il vento tira a oltre 200 km orari, come capita di frequente, certo non si può sperare molto; ci difendiamo con i mezzi dei poveri.
Sapete bene che ci aspettano due grandi impegni: la costruzione dell’ambulatorio e della nuova chiesa. Non saranno lavori di breve durata. Siamo consapevoli però che fanno parte di quelle strutture di cui le nostre comunità hanno urgente bisogno e quindi cominciamo con l’affidare al Signore anche questi progetti, certi che, pian piano, arriveremo alla loro realizzazione.
Vi dicevo che il Melaky, la regione dove si trova Betanatanana, ha bisogno di un pastore, di un Vescovo. Il Vangelo da queste parti non camminerà se non ci saranno sacerdoti e catechisti locali. Noi non mancheremo di impegnarci a fondo per contribuire, con le possibilità che il Signore ci darà, al raggiungimento di questi obiettivi, anche con la realizzazione di strutture idonee.
Continua la ricerca di una comunità religiosa di suore disposte a venire a vivere qui a Betanatanana, indispensabili per la gestione della nostra Missione. Siamo certi che il Signore ci darà anche questo dono… poiché le preghiere dei poveri sono sempre esaudite.
Siamo all’inizio del mese di maggio. Riprenderemo anche quest’anno la bella abitudine di passare nei cortili delle case a recitare il rosario e cioè a dire a tutti che abbiamo una vera Mamma nei cieli. E quindi sapete che sarete ancor più presenti nelle nostre preghiere. E noi contiamo sulle vostre.
Vi abbraccio,
don Riccardo