Incendi e desertificazione

IMG-20210827-WA0010Mi è capitato di leggere un articolo pubblicato di recente dal sito Green Me (https://www.greenme.it/informarsi/ambiente/madagascar-carestia-crisi-climatica/) e ne ho approfittato chiedendo parere a Padre Riccardo che, proprio nel Sud del Madagascar vive e da oltre quarant’anni: ecco, la chiacchierata avuta al telefono con lui ci offre il punto di vista privilegiato sul fenomeno degli incendi e della conseguente desertificazione del territorio.

Padre Riccardo non contraddice la sostanza dell’articolo, ma si sofferma piuttosto su quanto osserva in prima persona da anni vale a dire sui processi che hanno portato e tuttora portano a bruciare ettari di foresta e a provocare la progressiva desertificazione del Paese.

Ci sono gruppi etnici più elementari (la cui economia si basa su un elemento base dell’alimentazione locale, in questo caso, il mais), là come in diversi altri Paesi del Sud del mondo, che si caratterizzano per una certa prepotenza. Nel sud del Madagascar, sono gli Antandroy a farla da padrone, nel senso che costituiscono l’anello di congiunzione tra le materie prime che fanno gola ai grossi gruppi industriali esteri e ai cinesi – che praticamente riescono ormai a comprare il grosso delle materie prime eliminando ogni sorta di concorrenza – e questi “signori” che fanno le leggi di mercato. IMG-20210827-WA0009Sono proprio gli Antandroy, presenti sul territorio, a poter agire indisturbati – grazie al fatto di vivere ai margini rispetto al resto della popolazione e alle laute mazzette “allungate” alle autorità competenti – a sapere su quali terreni agire (quelli che non hanno un proprietario, quelli cosiddetti di appartenenza comune), dove bruciare per poi mettere a coltura ciò che pare essere più redditizio (dopo gli incendi, alle prime piogge, vengono piantate enormi estensioni di mais e trascorsi tre/quattro anni si passa alle arachidi); una volta pronto il raccolto, provvedono a caricare enormi camion e, ancora una volta indisturbati, a consegnare o a far ritirare il redditizio carico agli intermediari che poi venderanno ai grossi gruppi industriali (cinesi o occidentali).

IMG-20210827-WA0009Cosa resta sul territorio? Meno delle briciole. Rimane terra bruciata e non in senso figurato. La popolazione inerme non può fare nulla e nemmeno le buone pratiche insegnate nelle scuole della missione in tutti questi anni possono contribuire a un cambio di passo e di mentalità perché a livello istituzionale manca totalmente una politica ambientale seria che punti per esempio a combattere la corruzione, a sedentarizzare gli Antandroy, a disciplinare le compravendite dei grossi acquirenti; si va invece avanti con provvedimenti una tantum e senza un minimo di continuità né di lungimiranza. Risultato? Le foreste si riducono sempre più, il deserto avanza e anche i fiumi riducono la loro portata (Padre Riccardo mi dice che la Tsibirihna, il fiume più grande della zona) negli ultimi anni l’ha visto ridursi di tre quarti.

Finché non si comprenderà il valore delle foreste e dell’ambiente e non si imparerà a valorizzarlo sul serio e non per finta (per esempio con massicce campagne di piantumazione e conseguente manutenzione e cura), alla gente converrà sempre bruciare invece di preservare.