Dìan-tanalàhy… Imita l’incedere del camaleonte!

Quando andavo a trovare il mio amico dott.Genin all’Institut Pasteur di Madagascar, mi fermavo a guardare tutto un campionario di camaleonti conservati sotto alcol dentro enormi boccioni. I più grandi potevano misurare fino a 40-50 cm, o forse più; mentre i più piccoli ne misuravano, sì e no, 5. Straordinari esemplari di cui la fauna di questo paese è molto ricca.

Il Pastore J.Richardson, che pubblicò il suo dizionario nel 1885, parlava dell’esistenza di 21 tipi differenti di camaleonti esistenti in Madagascar.

Camaleonte

Ma è curiosando fra i proverbi che il camaleonte prende, per cosi dire, una seconda vita, quella  della cultura, quella che gli attribuisce questo popolo incuriosito per le stranezze di questo animale.

“La fortuna è come un camaleonte su di un ramo, se solo la tocchi cambia colore”. 

Si sa da sempre quanto sia labile e capricciosa la fortuna che arriva inaspettata, ma altrettanto inopinatamente si dilegua. Il camaleonte, sempre pronto ad assumere i colori dell’ambiente, rende bene questa labilità. Non c’è proprio modo di “addomesticare” la fortuna. Siamo solo spettatori dei suoi cambiamenti.

Camaleonte occhio“Gli occhi del camaleonte sono molto prominenti (sottinteso: deve godere di una vista eccezionale!), ma hanno poca apertura”. I globi oculari, impressionanti, promettono molto… e mantengono poco! Insomma non fidarti delle apparenze. Questo apparente vantaggio del camaleonte si riduce in fin dei conti a poca cosa.

Due altri proverbi rilevano come quest’animale non si sviluppa con gli anni. Il suo incedere, ad esempio, rimane tale e quale.

 “Il camaleonte che si arrampica su un cespuglio va a passi lenti quando è giovane e va ancora a passi lenti quando è vecchio”.

“Impossibile vedere i cambiamenti, così come nella vita del camaleonte: da giovane va avanti a passi lenti, e quando è vecchio avanza ugualmente a passi lenti”.

La natura, nel suo caso, non conosce nessuna flessibilità: sarà cosi per tutta la vita.

Una favola, poi, racconta dell’incontro fra un camaleonte ed un cinghiale: l’animale che è l’esatto opposto del camaleonte, per la forza, la rapidità e la temerità (per non dire imprudenza).

Il camaleonte spiega bene il perché del suo incedere: ”Noi ricordiamo il passato e preveniamo il futuro; evitiamo il castigo dal cielo e stiamo attenti a non essere colpiti dalla terra. Il nostro incedere misurato significa che onoriamo il cielo che ci copre dall’alto e rispettiamo la terra sulla quale camminiamo”.

Quello che può sembrare il passo goffo, esitante, incerto è invece il passo di chi sa di entrare in un mondo di cui non è il padrone, ma un passante. Pronto a rispettare le “regole di vita preesistenti”.

A vederlo sembra la classica bestiola dai riflessi rallentati, se non addormentati. E invece un’altra favola ci racconta che il camaleonte è previdente, sa organizzarsi e non ha paura di competere. Il cinghiale, amico e avversario lo sfida a una corsa. E’ sicurissimo di vincere. Eccoli entrambi allineati davanti agli animali della foresta accorsi a vedere la sfida impossibile.

Prima di partire il camaleonte chiede di salire su un ramo per vedere meglio il tragitto. In realtà al momento del via è seminascosto nel pelame fatto di setole forti e rigide del cinghiale. La corsa, si direbbe, non ha rivali. Convinto di averlo lasciato parecchio indietro il cinghiale rallenta la corsa, quando è nei pressi del traguardo. Ed allora il camaleonte con un salto a sorpresa lascia la schiena dell’amico e si fa trovare proprio sulla linea del traguardo… sotto gli occhi sbigottiti del cinghiale ancora ansimante.

camaleonte verdeUn ultimo proverbio riassume la filosofia di questo animale.

“Procedere come un camaleonte: guardare dritto davanti a sé, senza però smettere di voltarsi a guardare indietro”.

Come si vede nessun proverbio che sottolinei il trasformismo del camaleonte, cosa che invece è ben osservata da noi e ce lo rende un animale spregevole che si nasconde, si camuffa  infischiandosi solennemente della cosiddetta “identità”.

Insomma l’esempio classico dell’opportunismo tante volte osservato nei politici.

Per i malgasci la foresta è davvero l’emblema della vita e della forze manifeste od occulte che la popolano. Se vuoi sopravvivere, devi dare ad ognuno il posto che gli spetta. Il camaleonte è per i malgasci l’emblema della prudenza. E’ la prudenza, la virtù cosi necessaria in questa vita così piena di insidie. I latini, poi, riassumevano il tutto nel detto “festina lente”: avanza, ma con prudenza.

La tradizione, tuttavia, s’interroga su quest’animale dalla configurazione cosi strana per chiedersi cosa ci sia stato «all’inizio della storia».
 
Una volta gli uomini non sapevano cos’era la morte – dice una leggenda bestimisaraka. Quando la morte irruppe nel mondo dei viventi, costoro, spaventati, si chiedevano cosa fare ed infine inviarono il camaleonte, animale svelto e sveglio, a perorare la loro causa davanti a Dio. Commosso, questi diede un antidoto efficace. Ma il camaleonte, vuoi per disattenzione o per spavalderia, nella fretta, travolse la figlia unica di Dio. Spaventato, stravolto dall’incidente, sentì su di sé la maledizione di Dio: i piedi divennero pesanti e lenti, l’antidoto andò irrimediabilmente perso e la lingua si fece quella piccola frusta ributtante che conosciamo. Da allora gli uomini muoiono, il camaleonte divenne muto ed incede con quel passo lento, esitante, che vediamo.