Il giuramento segreto di Papa Francesco

COME VORREI UNA CHIESA POVERA E PER I POVERI

Ce lo ricordiamo tutti questo sospiro di Papa Francesco appena eletto davanti ai giornalisti di tutto il mondo: “COME VORREI UNA CHIESA POVERA E PER I POVERI!”, aveva esclamato.

Esprimeva il disgusto profondo di tanta parte di TANTI CRISTIANI VERSO UNA PARTE DI CHIESA TRAVOLTA DA TANTI SCANDALI.

20090205 - ROMA - CRO : LEFEBVRIANI: ABRAHAMOWICZ, VATICANO II PEGGIO CHE ERESIA, E' UNA CLOACA MAXIMA. Una riunione dei padri conciliari nella navata centrale della Basilica di San Pietro, in Vaticano, durante il Concilio ecumenico Vaticano II, voluto da papa Giovanni XXIII, in un'immagine d'archivio.    Il capo dei lefebvriani del Nordest, don Floriano Abrahamowicz, attacca il Concilio Vaticano II, definendolo ''peggio di un'eresia'' e "una cloca maxima'', all'indomani della nota con cui la segreteria di Stato vaticana ha chiarito come ''il pieno riconoscimento del Concilio Vaticano II'' sia ''condizione indispensabile'' ''per il futuro riconoscimento della Fraternita' Pio X''. Don Floriano Abrahamowicz aveva detto nei giorni scorsi, commentando le affermazioni negazioniste del vescovo Richard Williamson, che le camere a gas nei campi di sterminio esistevano ''almeno per disinfettare''. ANSA / ARCHIVIO / PAL

Paradossalmente però sentiamo poche volte Papa Francesco parlare del suo santo patrono. Non ha della povertà la stessa visione del suo santo protettore, o meglio, a lui interessano di più i poveri “CHE SONO OGGI IL CRISTO SPOGLIATO, FLAGELLATO, UMILIATO E DOLENTE”. Neanche la vita di molti religiosi che pure hanno scelto la POVERTA’ lo esalta. Così siamo ricondotti ad un altro filone di spiritualità cui attinge il Papa nel suo programma, delineato chiaramente nella “Gioia del Vangelo”. In questo filone troviamo Giovanni XXIII che nel discorso di apertura del concilio dichiara “La chiesa si presenta ai popoli come essa é e vuole essere, la Chiesa di tutti, ma specialmente la Chiesa dei poveri”.

Helder Camara

Helder Camara

Gli fa eco il cardinale Lercaro, che davanti ai padri conciliari afferma con forza: “Gesù ha scelto di essere povero e quindi c’é un legame intimo, profondo, quasi un’identità di Cristo con i poveri. Se la Chiesa vuole rinnovarsi non ha davanti a sé altre strade: deve farsi povera come Lui”. Questo programma viene ripreso dai vescovi dell’America latina che nelle grandi assemblee latino-americane di Medellin, Puebla e Santo Domingo fanno dei poveri il loro programma di azione. E poi soprattutto ci sono i vescovi che pagano con la vita la scelta di stare, vivere e difendere i poveri. Qualche nome: Helder Camara, Angelelli, e, soprattutto, Romero. Pagheranno con la vita la loro scelta. Saranno definiti “comunisti”, ”rossi” da quella parte di gerarchia che va a braccetto coi potenti, con i regimi violenti dell’America del sud (una pagina vergognosa non ancora tirata bene in chiaro).

Verso la fine del concilio però un pugno di vescovi, una quarantina, si ritrovano nelle catacombe di Santa Domitilla e lì, nel silenzio e lontano dal vocio della stampa, maturano una scelta gravida di conseguenze: scelgono il cimitero dei primi martiri per prestare il giuramento di “cambiare completamente stile di vita”. Era il cosiddetto PATTO DELLE CATACOMBE, un giuramento, appunto, che adesso con Papa Francesco esce dal buio e dal silenzio delle catacombe e “va in scena”… perché c’è lui, Francesco, che ne fa una scelta di vita. Leggendolo potremo ricordare ai nostri preti e vescovi che il Vangelo lo si può annunciare nel solo modo scelto da Cristo: scegliendo di essere poveri COME LUI.

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Noi, vescovi riuniti nel Concilio Vaticano II, illuminati sulle mancanze della nostra vita di povertà secondo il Vangelo; sollecitati vicendevolmente ad una iniziativa nella quale ognuno di noi vorrebbe evitare la singolarità e la presunzione; in unione con tutti i nostri Fratelli nell’Episcopato, contando soprattutto sulla grazia e la forza di Nostro Signore Gesù Cristo, sulla preghiera dei fedeli e dei sacerdoti della nostre rispettive diocesi; ponendoci col pensiero e la preghiera davanti alla Trinità, alla Chiesa di Cristo e davanti ai sacerdoti e ai fedeli della nostre diocesi; nell’umiltà e nella coscienza della nostra debolezza, ma anche con tutta la determinazione e tutta la forza di cui Dio vuole farci grazia, ci impegniamo a quanto segue:
– Cercheremo di vivere come vive ordinariamente la nostra popolazione per quanto riguarda l’abitazione, l’alimentazione, i mezzi di locomozione e tutto il resto che da qui discende. Cfr. Mt 5,3; 6,33s; 8,20.
– Rinunciamo per sempre all’apparenza e alla realtà della ricchezza, specialmente negli abiti (stoffe ricche, colori sgargianti), nelle insegne di materia preziosa (questi segni devono essere effettivamente evangelici). Cf. Mc 6,9; Mt 10,9s; At 3,6. Né oro né argento. Non possederemo a nostro nome beni immobili, né mobili, né conto in banca, ecc. e, se fosse necessario averne il possesso, metteremo tutto a nome della diocesi o di opere sociali o caritative. Cf. Mt 6,19-21; Lc 12,33s.
– Tutte le volte che sarà possibile, affideremo la gestione finanziaria e materiale nella nostra diocesi ad una commissione di laici competenti e consapevoli del loro ruolo apostolico, al fine di essere, noi, meno amministratori e più pastori e apostoli. Cf. Mt 10,8; At. 6,1-7.
– Rifiutiamo di essere chiamati, oralmente o per scritto, con nomi e titoli che significano grandezza e potere (Eminenza, Eccellenza, Monsignore …). Preferiamo essere chiamati con il nome evangelico di Padre. Cf. Mt 20,25-28; 23,6-11; Jo 13,12-15.
– Nel nostro comportamento, nelle nostre relazioni sociali, eviteremo quello che può sembrare un conferimento di privilegi, priorità, o anche di una qualsiasi preferenza, ai ricchi e ai potenti (es. banchetti offerti o accettati, nei servizi religiosi). Cf. Lc 13,12-14; 1Cor 9,14-19.
– Eviteremo ugualmente di incentivare o adulare la vanità di chicchessia, con l’occhio a ricompense o a sollecitare doni o per qualsiasi altra ragione. Inviteremo i nostri fedeli a considerare i loro doni come una partecipazione normale al culto, all’apostolato e all’azione sociale. Cf. Mt 6,2-4; Lc 15,9-13; 2Cor 12,4.
– Daremo tutto quanto è necessario del nostro tempo, riflessione, cuore, mezzi, ecc., al servizio apostolico e pastorale delle persone e dei gruppi laboriosi ed economicamente deboli e poco sviluppati, senza che questo pregiudichi le altre persone e gruppi della diocesi. Sosterremo i laici, i religiosi, i diaconi o i sacerdoti che il Signore chiama ad evangelizzare i poveri e gli operai condividendo la vita operaia e il lavoro. Cf. Lc 4,18s; Mc 6,4; Mt 11,4s; At 18,3s; 20,33-35; 1 Cor 4,12 e 9,1-27.
– Consci delle esigenze della giustizia e della carità, e delle loro mutue relazioni, cercheremo di trasformare le opere di “beneficenza” in opere sociali fondate sulla carità e sulla giustizia, che tengano conto di tutti e di tutte le esigenze, come un umile servizio agli organismi pubblici competenti. Cf. Mt 25,31-46; Lc 13,12-14 e 33s.
– Opereremo in modo che i responsabili del nostro governo e dei nostri servizi pubblici decidano e attuino leggi, strutture e istituzioni sociali necessarie alla giustizia, all’uguaglianza e allo sviluppo armonico e totale dell’uomo tutto in tutti gli uomini, e, da qui, all’avvento di un altro ordine sociale, nuovo, degno dei figli dell’uomo e dei figli di Dio. Cf. At. 2,44s; 4,32-35; 5,4; 2Cor 8 e 9 interi; 1Tim 5, 16.
Poiché la collegialità dei vescovi trova la sua più evangelica realizzazione nel farsi carico comune delle moltitudini umane in stato di miseria fisica, culturale e morale – due terzi dell’umanità – ci impegniamo:

– a contribuire, nella misura dei nostri mezzi, a investimenti urgenti di episcopati di nazioni povere;
– a richiedere insieme agli organismi internazionali, ma testimoniando il Vangelo come ha fatto Paolo VI all’Onu, l’adozione di strutture economiche e culturali che non fabbrichino più nazioni proletarie in un mondo sempre più ricco che però non permette alle masse povere di uscire dalla loro miseria.
– Ci impegniamo a condividere, nella carità pastorale, la nostra vita con i nostri fratelli in Cristo, sacerdoti, religiosi e laici, perché il nostro ministero costituisca un vero servizio; così: – ci sforzeremo di “rivedere la nostra vita” con loro; – formeremo collaboratori che siano più animatori secondo lo spirito che capi secondo il mondo; – cercheremo di essere il più umanamente presenti, accoglienti…

– saremo aperti a tutti, qualsiasi sia la loro religione. Cf. Mc 8,34s; At 6,1-7; 1Tim 3,8-10.

Tornati alle nostre rispettive diocesi, faremo conoscere ai fedeli delle nostre diocesi la nostra risoluzione, pregandoli di aiutarci con la loro comprensione, il loro aiuto e le loro preghiere.
Aiutaci Dio ad essere fedeli.

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