Don Riccardo – 01/12/2012
LA MISSIONE IERI, OGGI E DOMANI…
Cioè sempre!
IERI
Quando vi arriverà fra le mani questo calendario, io sarò già nel mio nuovo posto di missione. Quindi ieri per me è stato Mandabe, con tutte le straordinarie cose che abbiamo realizzato insieme: abbiamo rianimato delle comunità cristiane semispente e dato vita a nuove comunità che si sono aperte alla Chiesa. Abbiamo seminato nei cuori di alcune centinaia di ragazzi la conoscenza di Gesù e di una famiglia grande quanto il mondo, facendo loro intravedere che “l’amore non ha confini”, né tantomeno si chiude nei limiti della propria famiglia o del proprio clan. Ma prima di Mandabe c’è stato Faratsiho, e prima ancora Anatihazo, e prima ancora Bonoua in Costa d’Avorio, dove ho fatto i primi passi di questa straordinaria avventura umana che è la missione. Ovviamente ieri non sono solo i luoghi, ma tutte le persone che mi hanno accompagnato, incoraggiato, sostenuto, dai miei genitori fino a voi tutti. E tutta la gente di qui. Insomma due grandi famiglie che si avvicinano, si conoscono e si sostengono… perchè si amano. Il missionario ne è l’occasione. Ieri sono anche gli altri tre nuovi sacerdoti, consacrati qualche mese fa, che avevo accolto da ragazzini nella scuola di Faratsiho… Ieri siete voi che durante tanti anni avete camminato con me e mi avete aiutato a realizzare tanto bene per questo popolo che vi è molto riconoscente, perché sa che quello che avete fatto lo avete fatto solo con spirito di amore verso fratelli tanto bisognosi.
OGGI
Voglio assicurarvi che continuerò, anche con visite periodiche, a seguire e sostenere la Missione di Mandabe sino a quando il vescovo ed i Padri là presenti non saranno autonomi nella gestione delle scuole e delle attività connesse. Tuttavia credo che siano abbastanza solidi per prendere in mano la Missione e farla progredire ulteriormente, poiché questo è lo scopo del passaggio di mano. Ma ora l’avventura per tutti noi continua qui a Maintirano: altri paesaggi, altra gente, la presenza forte dell’Islam, una nuova cultura che si dischiude ai miei occhi. Il primo impegno è quello di conoscere questa regione, i protagonisti che ne hanno segnato la storia, i missionari, le suore, i catechisti, i cristiani che sono già qui e lavorano duramente per “dissodare questa vigna”. Ieri conversavo con un vecchietto. A un certo punto gli ho chiesto:“ E i Makòa?” (cioè gli attuali discendenti degli schiavi importati dal Mozambico negli anni 1850-1900) “Ma io sono proprio Makòa!” “Parlate ancora la vostra lingua? Come seppellite i vostri morti? Quali sono le vostre feste più importanti?” Mi ha risposto voltandosi un po’ di lato, forse per occultare un senso di vergogna: “Ormai seguiamo tutte le usanze dei Sakalàva!” (che erano i loro padroni al momento dell’arrivo degli schiavi e sono attualmente l’etnia dominante in questa regione). E così, sotto i nostri occhi, si attua questa assimilazione, violenta, ma silenziosa, di un popolo che perde la propria identità, la propria lingua, i canti, gli usi, restando sempre in fondo alla scala sociale… Costretto ad assimilarsi ai Sakalàva per ottenere un riconoscimento sociale. Nessuno qui pare accorgersi di niente. Oggi per noi c’è anche l’attesa di un vescovo, che dovrà contribuire a dare unità e identità a questa regione del Melaky, che è di certo la regione più trascurata del Madagascar. Dicevo ieri alla messa ai cristiani, quasi tutti Merina degli altipiani, venuti qui per cercare di che vivere nel commercio e nell’agricoltura: “Trandraka an-tany mèna, mandray ny volon-tany”, che significa “Dovremmo essere come il riccio che man mano che scava la sua buca, prende sempre più il colore rosso della terra”. E cioè noi cristiani non dovremmo conservare solo le nostre usanze, ma prendere poco a poco quelle di qui.
DOMANI
Sto effettuando le prime perlustrazioni in questa nuova regione del Melaky, a Betanatanana e dintorni. Diciamo che il senso di abbandono e di povertà che vedevo a Mandabe qui si accentua, a causa dei danni annuali dovuti ai passaggi dei cicloni. Cercheremo di aiutare la gente a “bere acqua pulita”, di occuparci dell’educazione dei bambini, di cercare dei buoni e qualificati insegnanti (la battaglia di sempre!)…Insomma di contribuire in misura modesta alla crescita spirituale e culturale di questo lembo di Madagascar che ci viene affidato. Ma di sicuro bisognerà conoscere i diversi gruppi etnici nelle loro culture particolari e adattarsi. Conoscere i loro leader… che spesso sono persi tra la folla, ma che entrano in evidenza in occasione di fatti importanti: feste tradizionali, funerali, conflitti, ecc. E comprendere che è indispensabile conoscersi bene e legarsi in amicizia. Abbiamo ben chiaro comunque che lo scopo primo è quello di affidare il Vangelo a questa gente, coscienti che Cristo non distrugge le culture, ma le purifica, le fa crescere, le dilata e le rinnova. Sappiamo che la missione tiene al proprio orizzonte la “de-missione” e cioè il passaggio nelle mani dei locali di quanto avremo realizzato: questa è la “pietra di paragone” della nostra vera riuscita! Cambieremo certo anche noi, perchè non saremo come i turisti spensierati in cerca di emozioni forti da fotografare e poi da raccontare agli altri, ma amici discreti, coscienti che la loro amicizia ci cambia e ci rende i missionari di cui ha bisogno oggi il mondo.
Buon anno a tutti,
don Riccardo