Don Riccardo – 27/09/2013

Betanatanana, 27 settembre 2013

Carissimi amici,
dopo qualche mese di silenzio vengo a voi. Ho letto da poco l’intervista che Papa Francesco ha fatto per “Civiltà cattolica”. In fondo è il suo autoritratto. Non vi nascondo che al momento del conclave ero anch’io fra coloro che si preoccupavano che la Chiesa rimanesse “eurocentrica e un po’ sorda”. Ma poi questo Papa ci ha riportati a riconoscere che la Chiesa è in fondo la nostra casa. Vorrei citare tante cose di quest’intervista, ma poiché il Papa parla di “stile missionario”, riporto queste righe che mi riguardano e sulle quali debbo lavorare:

“[…] L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali. Dico questo anche pensando alla predicazione e ai contenuti della nostra predicazione. Una bella omelia, una vera omelia, deve cominciare con il primo annuncio, con l’annuncio della salvezza. Non c’è niente di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. Poi si deve fare una catechesi. Infine, si può tirare anche una conseguenza morale. Ma l’annuncio dell’amore salvifico di Dio è previo all’obbligazione morale e religiosa. L’omelia è la pietra di paragone per calibrare la vicinanza e la capacità di incontro di un pastore con il suo popolo, perché chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità, per cercare dove è vivo e ardente il desiderio di Dio […]”.

L’essenziale della mia presenza qui non sono le cose che stiamo facendo: scuole, pozzi e tutto il resto, quanto invece dire a tutti loro, nei modi e nei tempi “favorevoli”, che Dio ci è papà, che li ama, che Gesù è morto e risorto anche per loro. Agli occhi suoi sono importanti, anzi unici. E forse, in seguito, se lo vogliono, potrebbero formare quella sua famiglia che è la Chiesa. E questo è da annunciare dapprima con la vita semplice e fraterna con loro e poi anche con le parole. Non sono cose nuove, ma ripetersele ogni tanto rinforza la convinzione.

Mentre scrivo queste righe penso agli amici che recentemente ci hanno lasciato. Sapevo bene che non li avrei più rivisti. E tuttavia li so ben presenti e la loro presenza si è fatta sentire.

Appena arrivato ho cercato di riprendere in mano le cose. Avevo la sensazione di chi si trova in una piroga, al largo, sotto il sole cocente in piena bonaccia, non un filo di vento che fa muovere la vela. E poi, quasi di colpo, qualcosa si è messo in moto e le cose hanno cominciato a correre. E cioè abbiamo messo in funzione alcuni locali per dar modo ai ragazzi di cominciare l’anno scolastico. Mentre vi scrivo quasi tutte le classi, scuola materna ed elementari, sono in funzione. Nel contempo abbiamo ottenuto la proprietà anche di un terreno più grande giusto all’ingresso del paese, dove stiamo costruendo la scuola media, sale per insegnanti, un campo di basket e in seguito la casa delle suore.

Una sorpresa l’abbiamo avuta quando, dopo che il terreno è stato disboscato e ripulito, un’equipe di operai si è messa a spianare il terreno vicino alla strada provinciale. Dopo un’oretta me li vedo arrivare. Per esser sicuro di capire bene quanto mi dicevano ho voluto vicino a me un vecchio cristiano del posto, che mi ha spiegato quanto gli operai faticavano a dirmi: avevano trovato delle ossa di morti! In trent’anni di Madagascar era la prima volta che mi capitava. Non capivo come mai i malgasci, che sono così attenti e scrupolosi ad occuparsi dei loro morti, avessero potuto fare una cosa simile: occultare dei morti in un terreno incolto e divenuto luogo di discarica! Ovviamente l’incontro con le autorità e con gli anziani non ha dato nessuna informazione aggiuntiva. E così ho capito che si doveva fermare tutto. Il vecchiottoTsakapaky mi fu di aiuto: si dovevano cercare le ossa dei morti sepolti di nascosto, avvolgerli in pezze di stoffa, metterle in cassettine e dar loro sepoltura in un appezzamento riservato a chi muore a Betanantanana senza avere parenti. Ho procurato quindi anche un paio di bottiglie di rhum (che i malgasci utilizzano per i riti di benedizione) e il mio amico Tsakapaky avrebbe pensato ad avvertire le gente e gli anziani, affinché tutto si svolgesse secondo le loro tradizioni. Dopo le rituali invocazioni e con l’avallo degli anziani, si è potuto procedere alla improvvisatafamadihana (rito malgascio per i defunti).

Nel mese di agosto c’è stato un primo incontro con l’Islam di Betanatanana. Gente semplice, ma che vive convinta la propria fede. Il ramadan è vissuto con impegno nel digiuno e nella preghiera nonché nell’elemosina ai poveri. Gli anziani mi avevano chiesto un aiuto per la loro piccola moschea. Aiuto che non ho mancato di far pervenire, invitando i cristiani ad esser presenti per l’inaugurazione, visto che io non potevo esserci. Mi premeva dare un segnale da subito, perché di certo quello che vorremmo è di essere in buoni rapporti con tutti (e il consiglio della scuola vede le presenze, ugualmente ripartite, di musulmani, protestanti e cattolici).

Ma il mese di agosto ha lasciato un altro segno: la morte di un seminarista a Maintirano, falciato dalle complicazioni dovute alla malaria. In tre giorni ci ha lasciati. Ovviamente un ospedale un tantino più attrezzato avrebbe potuto salvarlo. Ho appena fatto in tempo a visitarlo di ritorno da Betanatanana. Un avvertimento del Signore: i piani di lavoro è bene farli, ma poi è Lui che ci porta.

La processione dell’Assunta… è stata la famosa prima volta !!! Sapete, qui non siamo una folla, ma un piccolo pugno di lievito e debbo dire che i cristiani hanno entusiasmo e voglia di fare. Per tantissimi anni hanno visto il missionario passare qualche volta durante l’anno. Adesso è diverso.

Mi scuso con molti di voi perché non mi faccio vivo con regolarità. Sapete comunque che la riconoscenza e l’affetto ci sono sempre e cercherò anche di esprimervelo direttamente. In questo mese di ottobre, missionario e mariano, vi chiedo di pregare per questa missione che stiamo cominciando e che mettiamo da subito nelle mani della Madonna.

A tutti voi ancora una volta: grazie.

Vi abbraccio,




don Riccardo