I’M NOBODY – Io non sono nessuno

Questa volta sotto il nostro baobab accogliamo un altro testimone che soleva dire:

I’M NOBODY IO NON SONO NESSUNO.

 

Annalena Tonelli é stata uccisa qualche anno fa in Somalia. ma le sue parole (che ho liberamente riassunto) hanno il sapore di un TESTAMENTO INOBLIABILE: VE LE PROPONGO COME VIATICO.

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“Dobbiamo inventare.
L’amore è una questione di immaginazione.”


Mi chiamo Annalena Tonelli.
Sono nata in Italia a Forli il 2 aprile 1943….
Lasciai l’Italia a gennaio del 1969, da allora sono a servizio dei somali.
Sono trent’anni di condivisione. Ho infatti sempre vissuto con loro. Scelsi di essere per gli altri: i poveri, i sofferenti gli abbandonati, i non amati che ero bambina e cosi sono stata e confido di continuare a essere fino alla fine della mia vita, volevo seguire solo Gesù Cristo.

Nulla mi interessava cosi fortemente: Lui e i poveri in Lui. Per Lui feci una scelta di povertà radicale… anche se povera come un vero povero, i poveri di cui è piena ogni mia giornata, io non potrò essere mai.
Io sono nobody, nessuno!

Vivo a servizio senza un nome, senza la sicurezza di un ordine religioso, senza appartenere a nessuna organizzazione, senza uno stipendio, senza un versamento di contributi volontari per quando sarò vecchia. Sono non sposata perché cosi scelsi nella gioia quando ero giovane. Volevo essere tutta per Dio era una esigenza dell’essere quella di non avere una famiglia mia. E cosi è stato per grazia di Dio.

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Ho amici che aiutano me e la mia gente da più di trent’anni… tutto ho potuto fare grazie a loro.
Ringrazio Dio che me li ha donati e continua a donarmeli. Siamo una cosa sola su due brecce, diverse nella apparenza, ma uguali nella sostanza: lottiamo perché i poveri possano essere sollevati dalla polvere e liberati, lottiamo perché gli uomini tutti possano essere una cosa sola
Trentatre anni dopo grido il vangelo con la mia sola vita e brucio dal desiderio di continuare a gridarlo cosi fino alla fine. Questa mia motivazione di fondo assieme ad una passione invincibile da sempre per l’uomo ferito e diminuito senza averlo meritato al di là della razza, della cultura, della fede.
Tento di vivere con un rispetto estremo per i “loro” che il Signore mi ha dato. Ho assunto fin dove è possibile un loro stile di vita. Vivo una vita molto sobria nell’abitazione, nel cibo, nei mezzi di trasporto, negli abiti. Ho rinunciato spontaneamente alle abitudini occidentali. Ho cercato il dialogo con tutti.
Ho dato care: amore, fedeltà e passione.

Il Signore mi perdoni se dico parole troppo grandi ….. ma il mio primo amore furono i tubercolosi, la gente più abbandonata, più respinta, più rifiutata in quel mondo. Ero a Wajir, un villaggio desolato nel cuore del deserto del nord-est del Kenia, quando conobbi i primi tubercolosi e mi innamorai di loro e fu amore per la vita. I malati di tubercolosi erano in un reparto da disperati. Quello che più spaccava il cuore era il loro abbandono, la loro sofferenza senza nessun tipo di conforto.
Non sapevo nulla di medicina. Cominciai a portare loro l’acqua piovana che raccoglievo dai tetti delle case….. loro mi facevano cenni di comando apparentemente disturbati dalla goffaggine di quella giovane donna bianca della cui presenza volevano liberarsi in fretta
Tutto mi era contro allora. Ero giovane e dunque non degna né di ascolto né di rispetto. Ero bianca e dunque disprezzata da quella razza che si considera superiore a tutti: bianchi, neri, gialli, appartenenti a qualsiasi nazionalità che non sia la loro. Ero cristiana e dunque disprezzata, rifiutata, temuta. Tutti allora erano convinti che io fossi andata a Wajir per fare proseliti. E poi non ero sposata, un assurdo in quel mondo in cui il celibato non esiste e non è un valore per nessuno, anzi è un non-valore.
Trent’anni dopo, per il fatto che non sono sposata, sono ancora guardata con compassione e con disprezzo in tutto il mondo somalo che non mi conosce bene. Solo chi mi conosce bene dice e ripete senza stancarsi che io sono somala come loro e sono madre autentica di tutti quelli che ho salvati, guarito, aiutato, facendo passare cosi sotto silenzio la realtà che io madre naturale non sono e non sarò mai.

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Subito cominciai a studiare, ad osservare, ero ogni giorno con loro, li servivo sulle ginocchia, stavo con loro quando si aggravavano e non avevano nessuno che si occupasse di loro, che li guardasse negli occhi, che infondesse loro forza. Dopo qualche anno, ogni malato consapevole di essere alla fine, voleva solo me accanto per morire sentendosi amato…
Accoglievamo, oltre ai poliomielitici, casi particolarmente pietosi da curare, riabilitare, creature particolarmente ferite: ciechi, sordomuti, handicappati fisici e mentali…. I ragazzi crebbero con noi mamme a tempo pieno…
Intanto i nomadi cominciarono a venire con le loro capanne legate sulla groppa dei cammelli. Smontavano le stuoie, i bacchetti curvi, le corde, e costruivano la capanna. Per sei mesi l’ingestione dei farmaci era strettamente supervisionata ogni giorno….. le forniture dei farmaci erano assolutamente regolari…quasi un miracolo per l’Africa…

Quella della Tb Manyatta ( il nome del villaggio) fu una grande avventura d’amore, un dono di Dio. Fu così che la gente cominciò a dire che forse anche noi saremmo andate in Paradiso.
Per cinque anni ci avevano sbattuto in faccia che noi non saremmo mai andate in Paradiso perché non dicevamo: “Non c’è Dio all’infuori di Dio e Muhammad è il suo profeta”
Poi successe un episodio grave che mise a rischio la nostra vita e allora la gente cominciò a dire che sicuramente anche noi saremmo andate in Paradiso.
Poi cominciammo a essere portate come esempio. Il primo fu un vecchio capo che ci voleva molto bene “Noi Musulmani abbiamo la fede” ci disse un giorno, “e voi avete l’amore”.
Fu come il tempo del grande disgelo.
La gente diceva sempre più frequentemente che loro avrebbero dovuto fare come facevamo noi, che loro avrebbero dovuto imparare da noi a care per gli altri, in particolare per quelli più malati, più abbandonati.
Diciassette anni dopo, subito dopo il massacro di Wagalla, un vecchio arabo mi fermò al centro di una delle strade principali del povero villaggio, profondamente commosso perché in mezzo ai morti c’erano suoi amici, perché mi aveva visto quando mi avevano picchiato perché sorpresa a seppellire i morti, mentre lui aveva avuto paura e non aveva fatto nulla per salvare dei suoi; invece io avevo osato tutto e rischiato per salvare la vita dei loro che erano diventati miei, gridò perché voleva esser sentito da tutti: “ Nel nome di Allah, io ti dico che, se noi seguiremo le tue orme, noi andremo in paradiso” A Borama dove vivo oggi, la gente prega intensamente perché io mi converta al musulmanesimo…
Nel centro Tb abbiamo aperto scuole per gli ammalati e i loro amici: una scuola di Corano, una scuola di alfabetizzazione, una scuola di lingua inglese. Sono trent’anni che mi occupo di scuole: le organizzo, se necessario le costruisco, le finanzio.

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La creatura capace di vivere in Dio è sicuramente un evento di grazia. Resta tuttavia la realtà che con l’educazione l’uomo fiorisce più facilmente in una creatura capace di vivere in Dio suo creatore e datore di ogni bene
Io da parte mia, da lunghi anni ho imparato o meglio capito nel profondo dell’essere che, quando c’è qualcosa che non va: incomprensioni, attacchi, ingiustizie, inimicizie, persecuzioni, divisioni, sicuramente la colpa è mia, sicuramente c’è qualcosa che io ho sbagliato.
Ai piedi di Dio, la ricerca della mia colpa è facile, non prende tempo, fa soffrire ma non poi cosi tanto, perché è poi cosi bello e grande riconoscersi colpevoli e combattere perché la colpa venga cancellata, perché i comportamenti sbagliati vengano riformati, perché in ogni relazione con gli altri l’approccio divenga positivo… il nostro compito sulla terra è di far vivere….La vita è sperare sempre, sperare contro ogni speranza, buttarsi sulle spalle le nostre miserie, non guardare alle miserie degli altri, credere che Dio c’è e che Lui è un Dio di amore…. Eppure la vita ha senso solo se si ama.
Nulla ha senso al di fuori dell’amore.

La mia vita ha conosciuto tanti e poi tanti pericoli, ho rischiato la morte tante e poi tante volte. Sono stata per anni nel mezzo della guerra. Ho esperimentato nella carne dei miei, di quelli che amavo, e dunque nella mia carne, la cattiveria dell’uomo, la sua perversità, la sua crudeltà, la sua iniquità. E ne sono uscita con una convinzione incrollabile che ciò che conta è solo amare. Se anche Dio non ci fosse, solo l’amore libera l’uomo da tutto ciò che lo rende schiavo, in particolare solo l’amore fa sì che noi non abbiamo paura di nulla, che noi porgiamo la guancia ancora non ferita allo scherno e alla battitura di chi ci colpisce perché non sa quello che fa, che noi rischiamo la vita per i nostri amici, che tutto crediamo, tutto sopportiamo, tutto speriamo…. Ed è allora che la nostra vita diventa felicità anche nella sofferenza, perché noi viviamo nella nostra carne la bellezza del vivere e del morire.

Mi sono incolpata cento volte per avere accettato di venire qui davanti a voi a parlare della mia vita, sono stata debole ed ho accettato il parere dei miei amici che sono convinti che, a questo punto della mia vita… è giusto e bene condividere con altri i doni di Dio. Ma se questo mio “mettermi in pubblico” potesse servire a qualcuno a qualcuno che non crede, a qualcuno che non vive dentro di se questa straordinaria realtà che Dio ama ogni uomo, dal più degno di amore agli occhi degli uomini al più reietto e disprezzato, all’uomo cattivo e criminale… Allora mi metterei in ginocchio e benedirei perché cose grandi ha fatto in me colui che è potente.
Ai somali molto ho dato. Dai somali molto ho ricevuto. Il valore più grande che loro mi hanno donato, valore che ancora io non sono capace di vivere, è quello della famiglia allargata, per cui almeno all’interno del clan tutto viene condiviso. La porta è sempre spalancata ad accogliere fino al più lontano membro del clan. La mensa è sempre condivisa. Quello che è stato preparato per 10, sarà condiviso con chiunque si presenterà alla porta con la massima naturalezza. Non ci sono e non ci saranno recriminazioni, lamenti, vittimismi. E’ la cosa più naturale del mondo condividere con i fratelli.
E poi quella loro preghiera cinque volte al giorno… l’interrompere qualsiasi cosa si stia facendo, anche la più importante, per dare tempo e spazio a Dio.
Ma il dono più straordinario, il dono per cui io ringrazierò Dio e loro in eterno e per sempre è il dono dei miei nomadi del deserto.Musulmani, loro mi hanno insegnato la fede, l’abbandono incondizionato, la resa a Dio, una resa che non ha nulla di fatalistico, una resa rocciosa e arroccata in Dio, una resa che è fiducia e amore.
I miei nomadi del deserto mi hanno insegnato a tutto fare, tutto incominciare, tutto operare nel nome di Dio…. Ci si alza nel nome di Dio, ci si lava, si pulisce la casa, si lavora, si mangia, si lavora ancora, si studia, si parla, si fanno le mille cose di ogni giornata, e finalmente ci si addormenta: tutto nel nome di Dio.
Poi la vita mi ha insegnato che la mia fede senza l’amore è inutile, che la mia religione cristiana non ha tanti e poi tanti comandamenti, ma ne ha uno solo; che non serve costruire cattedrali o moschee, né cerimonie né pellegrinaggi…. Che quell’Eucaristia che scandalizza gli atei e le altre fedi racchiude un messaggio rivoluzionario: “questo è il mio corpo fatto pane perché anche tu ti faccia pane sulla mensa degli uomini,perché se non ti fai pane,non mangi un pane che ti salva,mangi la tua condanna”.
L’Eucaristia ci dice che la nostra religione è inutile senza il sacramento della misericordia, che è nella misericordia che il cielo incontra la terra. Se non amo Dio muore sulla terra, che Dio sia Dio io ne sono la causa … perché noi siamo il segno visibile della sua presenza e lo rendiamo vivo, in questo inferno di mondo dove pare che Lui non ci sia e lo rendiamo vivo ogni volta che ci fermiamo presso un uomo ferito. Alla fine, io sono veramente capace solo di lavare i piedi in tutti i sensi ai derelitti, a quelli che nessuno ama, a quelli che misteriosamente non hanno nulla di attraente in nessun senso agli occhi di nessuno. Luigi Pintor, un cosiddetto ateo, scrisse che non c’è in un’intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti al collo, possa rialzarsi. Cosi è per me. E’ nell’inginocchiarmi perché stringendomi il collo loro possano rialzarsi e riprendere il cammino o addirittura camminare dove mai avevano camminato che io trovo pace, carica fortissima, certezza che tutto è grazia.

 

Vorrei aggiungere che i piccoli, i senza voce, quelli che non contano nulla agli occhi del mondo, ma tanto agli occhi di Dio, i suoi prediletti, hanno bisogno di noi, e noi dobbiamo essere con loro e per loro e non importa nulla se la nostra azione è come una goccia d’acqua nell’oceano.
Gesù Cristo non ha mai parlato di risultati. Lui ha parlato solo di amarci, di lavarci i piedi gli uni gli altri, di perdonarci sempre… i poveri ci attendono… I modi di servizio sono infiniti e lasciati all’immaginazione di ciascuno di noi… inventiamo e vivremo nuovi cieli e una nuova terra ogni giorno della nostra vita.

5 ottobre 2003 –  mentre conduce la consueta visita serale agli ammalati Annalena viene uccisa da due sicari che le sparano un colpo alla nuca.

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