Testimoni di oggi: una monaca di clausura e Don Andrea
Durante questi giorni dopo Pasqua la Liturgia ci propone gli Atti degli Apostoli… e noi ci ritroviamo a a pensare: “quelli si che erano discepoli!”.
Questa volta sotto il baobab ci raggiungono due testimonianze di oggi: una giovane monaca di clausura – che accetta di raccontarci la sua vita – e un giovane prete.
La mia vocazione? Forse che non è da sempre? Sì è da sempre, ora lo so bene, ma come desideri scriverò spazio e tempo, eventi salienti.
Fino a 11 ani Gesù era un compagno, un confidente unico per me, parlavamo per ore…
Muore un mio compagno di classe in un incidente, uno di quelle persone che sono tutta bontà e tu ti senti arido dentro. Non capisci e vuoi capire. Lo trovi ingiusto e a quel Dio, che non risponde ai tuoi perché, finisci di non rispondere neppure tu e vai per altra strada e vuoi gestire la tua vita.
Discoteca, musica, rumore parole, poi il vuoto, quel vuoto che vuoi coprire per non farti domande,per non penare. Quel vuoto riaffiora con tutta la sua forza e vedi l’effimero delle cose, la vanità della vita che conduci, un non senso da vertigini: era una notte,

“di ritorno dalla discoteca… e per me in quella notte ci fu la luce!”
Al fondo dell’abisso c’era Dio al quale quella notte consegnai me stessa e la mia vita, mi donai perché mi sembrava di non valere più nulla, mi donai perché mi sembrava l’unica cosa che avesse un senso. Trovai la pace, ristorai quell’amico, quel compagno che tanto mi aveva atteso in silenzio.
Ero ancora confusa, cosa fare? Un’amica mi invitò ad un convegno missionario, ero così frastornata che non volevo andare, insistette: due giornate meravigliose.
Mi si fece luce, chiesi un colloquio con un missionario della Consolata: mi chiese cosa volessi fare, se impegnarmi per un po’ come volontaria, dentro sentivo chiaro che non era per un po’; ma per la vita, sentivo una spinta enorme, il traboccare dell’amore che mi diceva: non indugiare!
Avevo 17 anni. Saggiamente quel missionario mi consigliò di terminare gli studi, fu molto duro accettare l’attesa, il sentirmi estranea all’ambiente di sempre, con quel segreto in cuore. La sera al buio mi rifugiavo in solaio e alla luce dei lampioni della strada potevo leggere e meditare il Vangelo, andai di nascosto a comprare con i miei risparmi una Bibbia: ero felice!
Terminata la scuola mi incontrai nuovamente con quel padre missionario che mi suggerì sei giorni di esercizi spirituali a Roma con le missionarie…
Mio padre si oppose nettamente, che fare?
Giorni dopo un invito da parte della suora della Parrocchia: sei giorni a Torino in un monastero… per pregare e riflettere. Questa volta mio padre acconsente pur non sapendo la destinazione, stupitalo vedo come un segno della Provvidenza… e lo sarà.

Giunte a […] mi sento subito in una profonda pace e sintonia, lì il Signore mi interpella fortemente: non è anche questa una missione? Non è la radicalità che cerchi? Le poche certezze che avevo vengono stravolte: “Ma… Signore… la missione, i poveri, la mia esuberanza, la mia voglia di fare .” Poi mi arrendo all’amore di Dio e pongo la mia vita nelle sue mani.

Oggi vedo quanto questa vocazione sia conforme alle esigenze più profonde del mio cuore, come questa strada abbia in sé la missionarietà nella radicalità che la caratterizza, nel distacco che richiede, nella povertà vissuta sulla propria pelle in questa meravigliosa avventura con Dio, alla scoperta del suo volto attraverso la mia miseria accolta, amata e redenta.
Scendendo dal colle di […] piena di luce interiore, inizia il confronto con i familiari, il parroco, la gente. La notizia, in un paese piccolo, si trasmette velocemente.
Discuto, spiego, ma a cominciare dai miei genitori, anche i parenti e gli amici, fino al parroco: tutti non comprendono e lo giudicano un colpo di testa. Dopo vari tentativi parto per un’esperienza al monastero: mio padre per il dolore va via di casa, la situazione in famiglia è molto tesa e ci vorrà parecchio tempo perché ritorni la normalità (mio padre mi farà visita solo 8 anni dopo e mio fratello dopo 14 anni) per me è iniziata una nuova vita: tutto da scoprire, tutto da imparare.

Non è facile diventare veri discepoli di Cristo, imparare ad abitare il silenzio, scendere là dove Dio ha posto la sua dimora in noi ed imparare ad accogliersi, a dilatare gli spazi del cuore a ragionare come il Padre, ad avere gli stessi sentimenti di Gesù.
Allora si scopre che la terra di prima evangelizzazione, quella che non ha ancora conosciuto il Vangelo, è quella del tuo cuore, ed è dissodando quella che il bene può diffondersi e trovare una strada per entrare anche nel cuore degli altri, perché in Cristo siamo un corpo solo.
Allora la preghiera si fa verità, allora si capiscono gli altri e i loro problemi.
Allora non giudico l’assassino di cui leggo sul giornale, e riconosco che anche dentro di me c’è tanta aggressività e che è solo per la misericordia di Dio che non ho fatto sciocchezze.
Allora imploro per i fratelli la stessa misericordia e mi consumo nel desiderio che altri possano sperimentare tanta grazia e credo profondamente che in qualche modo le correnti sotterranee del bene e della pace operano anche attraverso le mie mani, il mio cuore, il cammino di conversione che quotidianamente cerco di compiere.

Deo gratias!
La storia di don Andrea è una storia di luci e di ombre.
Entrato in seminario, dopo l’ordinazione sente il bisogno di dedicarsi ai giovani della parrocchia nella periferia di una grande città: droga, alcool e poi una mattina l’incontro con una ragazza del giro della prostituzione. Occhi spenti, pieni di dolore in un viso così giovane e la voglia di riscatto. Andrea è giovane ma il suo cuore non ce la fa a passarci sopra, a dire: “Ci penseranno altri, io non posso”. Promette aiuto, cerca soluzioni. La giovane ce la fa ed è libera, in un’altra città sotto altro nome. Ne seguiranno diverse altre; don Andrea si dona con generosità ma lui non cambia città, non cambia nome, vuole che chi ha bisogno di aiuto lo possa trovare.

E’ a rischio, lo sa. Una sera irrompono nel suo oratorio tre energumeni, parlano di regolamento di conti, lo pestano a sangue.
Quando si rialza dopo ore è completamente cieco.
Cieco a 26 anni, cieco per essersi dato a Dio, cieco per aver amato. “I miei occhi hanno visto la salvezza”. Molti occhi grazie a don Andrea hanno visto una via di salvezza, ma non i suoi.
Lo trasferiscono di parrocchia per proteggerlo, lui entra in una lunga notte molto più profonda di quella fisica, notte fatta di angoscia e ribellione, alla ricerca di quel volto di Dio che non conosce più, alla ricerca di un senso alla sua vita.
Un lungo cammino di accettazione, di risalita, la ricerca di una normalità nel quotidiano. Una lunga quaresima, cammino nel deserto per imparare cosa sia essere povero, cosa sia mendicare e soffrire per divenire uno di quei poveri che aveva aiutato.
Cinque anni dopo, durante la veglia pasquale, la veglia che celebra il passaggio dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, don Andrea riceve una nuova sconvolgente visita, questa volta del Signore. All’improvviso i suoi occhi si aprono e in mezzo ad una folla sbalordita non riesce a trattenere il grido.

Ci vedo, io ci vedo! Questa la fede di don Andrea, il suo cammino di purificazione, questo l‘amore di Dio che mai ci abbandona ma segue con amore il nostro cammino.