Un ospite diverso… don Lorenzo Milani

“Un ospite diverso: don Lorenzo Milani”
 

Questa volta sotto il baobab c’è un ospite diverso, diremmo oggi un irregolare: don Lorenzo Milani MIO MAESTRO, da quand’ero giovane… fino ad oggi!

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Sono 41 anni che è morto, ma leggere i suoi scritti fa ancora molto bene. Sembra di bere di quei vini che i contadini conservano nelle botti per loro uso, di casa ( senza zuccheri o conservanti).

Propongo due scritti e poi… Una “spigolatura “ di testi dalle sue lettere. Ma vi invito a leggerveli tutti!

Una lettera al suo vescovo…. che l’ha “confinato” a Barbiana dove si occupa di un centinaio di persone. L’autorità ha spesso paura delle persone intelligenti, non conformiste e critiche!

È il don Milani che scrive la famosa frase: “ l’obbedienza non è più una virtù” e rimane lassù obbediente e libero fino alla morte dove vuole esser sepolto fra la sua gente.




 

All’arcivescovo di Firenze card. E. Florit
Barbiana 5.3.1964

 

Caro monsignore,
la ringrazio delle sua lettera che non posso interpretare che come un atto di amicizia. Non riesco però a capire se Ella ha mai saputo quel che ho detto e scritto a mons. vicario e se sa che, fra l’altro, io gli ho chiesto che anche lei venisse a parlare ai miei ragazzi e ai loro genitori. Naturalmente ciò che le chiederei non sarebbe un qualsiasi discorso generico, ma di esaminare in presenza a loro, a fondo, senza pudori e senza pietà, il problema dei rapporti tra il mio apostolato e il vostro atteggiamento.

Ho passato i miei diciassette anni di sacerdozio tutto teso solo verso le anime che il vescovo mi aveva affidato. Del vescovo non mi sono curato. Pensavo nella mia ingenuità di neofita che il vescovo fosse un padre commosso della generosità dei suoi figli apostoli, preoccupato solo di proteggerli aiutarli benedirli nel loro apostolato. Pensavo che egli amasse i miei figlioli così che tutto quel che facevo per loro gli paresse fatto a lui e cosi il legame fra me e lui anche senza mai vedersi o scriversi fosse il più alto e il più profondo che esiste: un oggetto di amore in comune.

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Dopo sette anni di illusione idillica, d’un tratto seppi la tragica realtà: la curia fiorentina e il vescovo erano un deserto! Allora scelsi quella che in quel momento mi parve la via della santità: per nove anni ho badato soltanto a salvarmi l’anima, a accettare in silenzio le crudeltà… consci calpestavate in me un uomo, un neofita, un cristiano, un sacerdote, un parroco cui in diciassette anni di sacerdozio non avevate saputo trovare neanche il più piccolo appiglio per un richiamo, un consiglio, un rimprovero.

Ho badato ad accettare in silenzio perché volevo pagare i miei debiti con Dio, quelli che voi non conoscete. E Dio invece mi ha indebitato ancora di più: mi ha fatto accogliere dai poveri, mi ha avvolto nel loro affetto. Mi ha dato una famiglia grande, misericordiosa, legata a me da tenerissimi e insieme elevatissimi legami. Qualcosa che temo lei nona abbia mai avuto. E per questo m’è preso pietà di lei e ho deciso di risponderle.

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Da cinque anni in qua i medici e alcuni segni m’han detto che è l’ora di prepararsi alla morte. Allora ho voluto riesaminare freddamente questi diciassette anni di vita sacerdotale anzi i loro frutti.
E m’è improvvisamente saltato all’occhio che la santità non è cosi semplice come io credevo. Lasciarsi calpestare può esser santo, ma nel calpestare me voi calpestavate anche i miei poveri, li allontanavate dalla chiesa di Dio.
E poi che serve amare e tacere, porger la guancia ai soprusi e alle calunnie quando chi li compie è il capo della chiesa fiorentina? Più santamente io tacevo e più scandalosa appariva la lontananza del vescovo dai poveri, dalla verità, dalla giustizia.
Ho lavorato alla costruzione della mia personale santità che (se anche l’avessi raggiunta) non sarebbe servita (in questa vita) che a metter in luce l’abiezione d’una curia che esilia i santi e onora gli adulatori e le spie.

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Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato, qualcosa di simile all’opera di un pastore protestante.
Ma io non lo sono stato e lei lo sa.

Se lei ne avesse avuto anche solo l’ombra del dubbio le correva l’obbligo gravissimo di cercarmi, parlarmi, salvarmi. Ho servito per diciassette anni la chiesa cattolica nei suoi poveri, vorrei oggi per una volta servirla anche nei suoi ministri che purtroppo fino a oggi ho trascurato, anzi dimenticato.
Ecco perché le porgo oggi una mano.

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Vuole ereditare la mia umile opera? Vuole mietere dove io ho seminato?
Vuol partecipare all’abbraccio affettuoso dei poveri che mi vogliono bene, che ho tentato di avvicinare al Signore, che sono talmente buoni (vorrei quasi dire tanto “stupidamente” buoni) da esser capaci di perdonarle tutto da oggi a domani, e accoglierla come uno di loro cosi come hanno accolto me?
Vuole con un tratto di penna cancellare diciassette anni di scandali che la curia fiorentina ha dato ai due popoli [don Milani allude alle due parrocchie dove ha lavorato: San Donato e Barbiana] che mi avete affidato?

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Vuole annettere con un tratto di penna (che è doveroso oltre a tutto) nell’ortodossia cattolica ciò che per diciassette anni ho eroicamente mantenuto fino allo scrupolo nell’ortodossia cattolica e che il suo comportamento fino a oggi faceva invece apparire eterodosso?

Le propongo una soluzione pratica. Mi inviti lei personalmente a tenere delle lezioni o conversazioni di pratica pastorale al seminario maggiore. Non le chiedo di dire ai seminaristi e ai miei due infelici popoli che questa mia è la santià, che questa è la ricetta unica dell’apostolato, che tutto il resto è errore.
Le chiedo solo di dire ai seminaristi e ai miei due infelici popoli che nella casa del padre “vi sono molte mansioni” e che una di esse generosa e ortodossa fino allo spasimo è stata quella del prete che ella ha fino ad oggi implicitamente insultato e lasciato insultare.

Un abbraccio fraterno dal suo

Lorenzo Milani sac.

 


 

 

T E S T A M E N T O

 

Firenze 1.3.1966

Caro Michele, caro Francoccio, cari ragazzi,
non ho punto debiti verso di voi, ma solo crediti. Verso Leda invece ho solo debiti e nessun credito. Traetene le conseguenze sia sul piano affettivo che su quello economico.
Un abbraccio affettuoso, vostro

Lorenzo

Cari gli altri
Non vi offendete se non vi ho rammentato. Questo non è un documento importante, è solo un regolamento di conti di casa (le cose che avevo da dire le ho dette da vivo fino ad annoiarvi). Un abbraccio affettuoso, vostro

Lorenzo

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Caro Michele, caro Francoccio, cari ragazzi,
non è vero che non ho debiti verso di voi. L’ho scritto per dare forza al discorso!
HO VOLUTO PIU BENE A VOI CHE A DIO, ma ho speranza che Lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto.
Un altro abbraccio, vostro

Lorenzo

 


 

 

Qualche spigolatura…

 

 

“Esser parroco di 110 anime (Barbiana!) in una diocesi che ha decine di grosse parrocchie senza parroco non è molto buon segno e non giova a ispirar fiducia né in un allievo né in un penitente né in un parrocchiano né in un lettore.”

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“Mi fa tenerezza, il pensare come sei giovane per addentrarti nell’immensa solitudine di chi cerca solo di salvarsi l’anima. Ma solitudine per modo di dire. Si perde tutti i superiori, quasi tutti i confratelli, tutti i signori, quasi tutti gli intellettuali e si trova in compenso tutti i poveri, gli analfabeti, i deficienti (mi ha fatto tanto ridere di gioia il sentire che a vespro non avevi che un deficiente. Io non sono più in gamba di te, ne ho quattro. Molte domeniche non ho che loro e penso sempre che Dio mi deve voler molto bene se mi circonda di suoi elettissimi a quella maniera).”

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“Un’altra parrocchia adatta per me non l’hanno e del resto non la prenderei.. Se non sarò giudicato capace di fare il parroco a Barbiana vorrà dire che Dio mi chiama a lasciare l’apostolato…
Sarà forse eresia dire che la scuola è mezzo migliore che non il flipper?
Ma non sarà peccato stare, come sto, quassù sul Monte Giovi senza dar noia a nessuno a far scuola a sei poveri bambini… Non mi ribellerò mai alla Chiesa, perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa.”

“Criticheremo vescovi e cardinali serenamente visto che nelle leggi della chiesa non c’è scritto che non lo si possa fare. Il peggio che ci potrà succedere sarà d’essere combattuti da fratelli piccini con armi piccine… criticheremo i nostri vescovi perché vogliamo loro bene… e non è superbia voler insegnare al vescovo perché cercheremo ognuno di parlargli di quelle cose di cui noi abbiamo esperienza diretta e lui nessuna. L’ultimo parroco di montagna conosce il proprio popolo, il vescovo quel popolo non lo conosce. L’ultimo garzone di pecoraio può dar notizie sulla condizione operaia da far rabbrividire dieci vescovi non uno.”

“Non potrei vivere nella chiesa neanche un minuto se dovessi viverci in questo atteggiamento difensivo e disperato. Io ci vivo e ci parlo e ci scrivo colla più assoluta libertà di parola, di pensiero, di metodo, di ogni cosa.
Se dicessi che credo in Dio direi troppo poco, perché gli voglio bene.
[E capirai che voler bene a uno è qualcosa di più che credere nella sua esistenza!!!]

“Questo è il prezzo che bisogna pagare se si vuole influire dal profondo sulla società e sulla Chiesa. Non sarà il superiore a vincere, non c’è pericolo! Vincerà il migliore. E essere migliore del Superiore in genere non è cosa difficile. E non importa nemmeno dirglielo che sbaglia, nel fondo della coscienza lo sa da sé. Per esempio il Cardinale non ha avuto nemmeno il coraggio di rispondere a una mia lettera importante che gli mandai un anno fa [quella che ho presentato sopra]. Né ha il coraggio di venire a parlare coi miei ragazzi e con me. È evidente che ha paura della verità e della bontà…”

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“Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande “I care”. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “ Me ne importa, mi sta a cuore.” È il contrario esatto del motto fascista “Me ne frego”.

“Ci è stato però di conforto tenere sempre dinanzi agli occhi quei 31 ragazzi italiani che sono attualmente in carcere per un ideale.
Cosi diversi dai milioni di giovani che affollano gli stadi, i bar, le piste da ballo, che vivono per comprarsi la macchina, che seguono le mode, che leggono i giornali sportivi, che si disinteressano di politica e di religione.”

“Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”.

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“Quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come premio.

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Ti toccherà trovarlo per forza perché non si può far scuola senza una fede sicura. È una promessa del Signore contenuta nella meraviglia di coloro che scoprono se stessi, dopo morti, amici e benefattori del Signore senza averlo nemmeno conosciuto… È inutile che ti bachi il cervello alla ricerca di Dio o non Dio.”

“Sono qui perchè ho cambiato malattia. Contro ogni regola scientifica son passato dal linfogranuloma alla leucemia mieloide. Due malattie altrettanto inguaribili ma l’una e l’altra dotate dell’unica qualità che mi sta a cuore cioè di non richiedere operazioni. Perché io sono un profeta e un eroe, ma fino alle estrazioni dentarie escluse…”

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