Ad Agosto: non crisantemi, ma glicini!!

Ad agosto: non crisantemi, ma glicini!

Questa volta l’ospite che passa a darci il suo messaggio é mia mamma.

Mia mamma é morta il 28 agosto del 2004.

Per noi, il mese di agosto non “porta buono ” direbbe qualcuno!
Ad agosto sono morti anche mio papà e mio fratello.
Avremmo più di un motivo per raccogliere crisantemi.

Ma io credo davvero che i morti siano vivi. Ed allora penso a mia mamma come ad un robusto glicine che copre della sua ombra, del suo colore discreto e del suo profumo così fine, i pergolati delle case coloniche… ed attira tutti sotto di sé.

Un proverbio malgascio dice che la persona buona é come il mercato: non fa rumore, ma attira sempre molta gente.
Sotto il pergolato la famiglia, i vicini, gli amici si ritrovano e passano ore insieme a parlare , scherzare mangiare qualcosa, mentre i bambini riempiono l’aia di voci. 

Le cose che scrissi allora….non le cambierei, ed é per questo che ve le propongo.


“Di questo gioisce il mio cuore
la mia anima è in festa
perché non abbandonerai la mia vita nella tomba.” 

(Salmo 15)


Leggi la lettera che don Riccardo scrisse agli amici:

Morondava, 31 agosto 2004.

“Di questo gioisce il mio cuore
la mia anima è in festa
perché non abbandonerai la mia vita nella tomba.” (Salmo 15)

Cari amici,
oggi, a tanti chilometri da qui, la mia mamma viene sepolta. Ultimo atto di una vita
lunga, di un’esistenza piena. Non vengo a elemosinare compassione, vengo a dirvi
“ringraziate con me il Signore per il dono che ci ha dato, di avere una mamma così”. La
sua è stata una morte invidiabile. Il Signore l’ha ascoltata, quasi punto per punto: non
voleva essere sola, ci voleva tutti vicini intorno. Grazie al telefono, ho potuto sentirla
quasi fino all’ultimo. Dall’Ecuador mia sorella l’ha supplicata, “mamma, non partire,
aspettami”: è arrivata poche ore dopo la morte.
E’stata una morte attesa, preparata da lunghe ore di preghiera con la corona del
rosario. Le ripetevo spesso, “Tu sai che la missione va avanti sulle tue ginocchia”, ed è
stata fedele a questo impegno quotidiano. Come tutti i nostri vecchi contadini,
macerati dagli stenti, dal lavoro e dai dolori, e pur tuttavia sempre abitati da quella
serenità profonda che si legge nei loro occhi e da bonomia ironica di chi stempera
nell’umorismo anche le cose importanti.
In questi giorni di silenzio e di preghiera vedo che il debito di riconoscenza che ho per
lei è incolmabile. Mi ha dato la vita sotto le bombe, mi ha fatto battezzare e mi ha
salvato ancora una volta quando, colpito dal tetano, le speranze di guarigione erano
finite. Ha strappato con la fede e le preghiere il miracolo. Forse per questo durante
tutta la vita mi è stata più vicina. Il Signore l’ha chiamata a portare la croce, come fa
con gli amici che predilige, e lei non si è tirata indietro. Ci ha insegnato l’amore del
Signore, il Rosario fin da piccolissimi. Rosario che dicevamo tutte le sere, in ginocchio
mentre si cascava nel sonno. Quando l’ho salutata per l’ultima volta ci siamo scambiati
il rosario, l’unica nostra forza, segno di un amore che vince ogni distanza. Mia mamma
ha amato la chiesa, la sua piccola comunità cristiana, ha amato e aiutato i sacerdoti, le
suore, i poveri. Ci ripeteva, “Non c’è nessuno più felice di noi se qualcuno di voi diventa
prete o suora, si dà al Signore. Il Signore l’ha presa in parola, e la nostra vocazione di
noi quattro religiosi affonda le radici nella sua preghiera, nella sua fede, nel suo
esempio. Non ci ha mai detto, “Sono vecchia, sono malata, state qui in Italia, non
andate lontano perché non vi vedrò più!”. Ci ha sempre detto, “Andate là dove il
Signore vi manda e non voltatevi indietro!”. Il Signore ama chi dà tutto, con gioia. Alla
chiesa ha dato le cose più preziose: i suoi figli.
Mia mamma è morta povera, nella sua stanza sono rimaste poche cose: due vestiti, la
radiolina con cui seguiva Radio Maria ( “Sai,” mi diceva, “mi fa compagnia e mi aiuta a
pregare”), il cellulare che le abbiamo imposto per poterci sentire ogni tanto ed uno scatolone di foto di famiglia che prendeva in mano ogni tanto per rifare la sua e la
nostra storia.
Dedicando la scuola e la chiesa di Ankilimanjaka a Sant’Anna ho pensato proprio che
questo villaggio in cui non ci sono cristiani si aprirà a Gesù Cristo grazie alle preghiere
a ai sacrifici di mia mamma.
Ho chiesto ai miei fratelli di non fare un funerale, una liturgia funerea, ma una liturgia
di ringraziamento al Signore. La mamma è stata per noi la mano, lo sguardo, la parola, il
cuore di Dio: è Dio visibile. E’ normale ringraziare il Signore, è doveroso dire a lei
tutta la nostra riconoscenza. Ricevendo il viatico – cibo che dà forza per il viaggio –
Gesù le si è fatto incontro, là dove le nostre mani si allentano e muore la nostra
parola, lì c’è Lui che accompagna verso la vita. “Chi mangia questo Pane ha la Vita; chi
vive e crede in me anche se muore vivrà”. Teresa del Bambino Gesù diceva poco prima
di morire, “Sento che non vado verso la morte, ma che entro nella vita. La mia missione
comincia adesso”.
Cara mamma, la nostra vita continua, in maniera diversa.
Cari amici, ringraziate con me il Signore.
Vi porto nella mia preghiera quotidiana, tutti, e vi auguro la cosa più bella che ci sia:
che Dio ci ama.
“Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata”.
Vi abbraccio,
Riccardo

Leggi le lettere che don Riccardo scrisse agli amici, al nipote, ai fratelli e sorelle

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